martedì 15 febbraio 2011

Diario del 26 giugno 2006

scriverò di quello che è successo ieri solo quando riuscirò ad accettarla come un errore lontano che non ripeterò più.

La sensazione che ho avuto è stata quella dello sdoppiamento. Dell’abitare per un paio di ore scarse in un altro corpo. La mia mente si era bloccata e cercava di non pensare alle persone che mi volevano bene e che avrebbero pianto solo vedendomi fare quello che ho fatto.
Mi sento in un vicolo cieco, dove non trovo nessuno con cui parlare. Mi convinco che forse è il caso di banalizzare l’accaduto. Poi mi ripeto in maniera ossessiva che si è trattato di un bruttissimo sogno. Ma non posso fare a meno di odiarmi e provare un assoluto disgusto per me stessa.
In famiglia fingo che il problema sia legato solo a Filo. Se fosse solo questo …
Ricordi quando qualche anno fa finii a letto con una persona di cui non mi interessava nulla e che mi attirava solo perché era "qualcuno" (anzi, il nipote di "qualcuno"). Nemmeno lo conoscevo bene.
Che orrore: mi sono sentita sporca: un vero e proprio auto-tradimento. Un'immersione a testa in giu' nel cesso sporco di una stazione.

Ma questa volta è peggio.
Molto più grave.
La sensazione di dolore che viene dallo stomaco è amplificata 1000 volte … vorrei cambiare nome, città e faccia. Lavarmi. Scorticarmi. Scarnificarmi fino a vedere il bianco delle ossa.
Ho un gran casino in testa: sono un elefante in una cristalleria.
Ogni movimento che faccio provoca reazioni a catena a dir poco devastanti.
Se qualcuno dovesse saperlo ne morirei … Stai zitta, sorridi, va tutto bene, non è successo niente.
Un bel niente.

Rincasando ieri, dopo lo schifo, i miei occhi non volevano più vedere nulla, ma le immagini che continuavano a scorrermi davanti erano implacabili.
I vestiti che cadevano, l'olio al sandalo e corteccia, il letto sfatto, le pareti immobili e mute di fronte a quei tre corpi ridicolmente intrecciati in viscidi abbracci.
Un orco tra due fate: un grottesco trio tristemente tenuto assieme da stupide illusioni.
A carnevale, ogni anno, la mamma mi portava a casa un vestito sempre diverso: da squaw, da pirata, da ape, da coniglio. Non mi sono mai piaciuti, ma non l'ho mai detto per non farla rimanere male.
Non avevo grandi ambizioni: io volevo semplicemente vestirmi da fatina.

Finalmente casa. Ho trovato i nonni e, seduta al tavolo con l’aria sfatta dall'afa pesante subita durante il viaggio in treno, mi sono messa ad osservare il volto del nonno da vicino: lo sguardo più dolce che abbia mai visto, sereno, infantile, ingenuo, carico di quell' innocenza che avrei tanto voluto avere anche io.

Sta per salire un temporale. Devo assolutamente dormire. Ma lo stomaco mi scoppia.
Prima mi chiudo in bagno e vomito tutta la mia solitudine.
Non voglio ammetterlo, ma so bene che ultimamente la debolezza mi sta schiacciando senza pietà.

domenica 13 febbraio 2011

Ambizione

Maledico il giorno in cui decisi di andare a farmi tatuare sul collo quel simbolo. L'ideogramma dell'ambizione. Il valore a cui ho giurato fedeltà sopra ogni cosa.
Ora come mai lo sento addosso come la lettera scarlatta, un marchio indelebile che mi ricorda ogni giorno la strada che ho deciso di intraprendere. Una strada apparentemente luccicante, agevole e in discesa … in realtà deleteria all'animo e alla sua necessità di salvezza.

Il suo dito sfiorò il collo bianco. I capelli erano raccolti in una striminzita coda di cavallo.
Nina era così concentrata nel lavoro che si accorse della sua presenza solo quando ci fu quel leggero tocco.
Fu la prima volta che lui la toccò. Una sciocchezza agli occhi delle persone che stavano lavorando con Nina in ufficio … un gesto che si perde nella moltitudine di gesti che in genere si compiono automaticamente … come mettere la mano dinnanzi alla bocca quando si sbadiglia o rispondere con un - prego- ad un -grazie- ricevuto.

Un semplice gesto fatto per sottolineare la domanda: - Che cosa significa? -
Lieve e fresco come un alito di vento. -Non si può dire!- Nina sapeva che così facendo avrebbe alimentato la sua curiosità e lo avrebbe costretto a chiederglielo di nuovo fino a diventare insistentemente fastidioso. 
-Dai dimmelo! Non lo dico a nessuno … di cosa ti vergogni? - Nina sapeva che la risposta sarebbe stata fraintesa. - Non posso dirglielo qui, davanti a tutti! - Rapidamente prese un foglio bianco e scrisse in stampatello: AMBIZIONE.

Era quasi giugno e Milano diventava insopportabile già di prima mattina con quella sua cappa soffocante che toglieva il fiato e faceva venire voglia di starsene fermi e immobili tutto il giorno.
Nina lavorava da quasi quattro mesi in quell'ufficio, ma le sembrava fosse trascorsa un'eternità: aveva imparato molte cose fino a quel momento … cose che all'università aveva cercato di apprendere in maniera meccanica in funzione degli esami e che, a prova terminata, venivano sempre sgomberate e relegate nello sgabuzzino polveroso della memoria. Vomitate liberatorie dopo l'abbuffata che le aveva sfinito il cervello.
Analisi della concorrenza, pianificazione media, stesura di un report, monitoraggio di una campagna … ma perché mai non si possono imparare le cose solo quando vi è la necessità?
Che senso ha riempire la zucca con mille nozioni quando poi è ovvio che più della metà andranno perse e rimarranno li, inutilizzate, in qualche cassettino della memoria?
Nina era una ragazza sveglia e con un gran senso pratico: non aveva tempo da perdere per imparare cose che non le sarebbero servite.
Se doveva studiare dieci libri per un esame lo faceva cercando di capire in anticipo  quello che le avrebbero chiesto, le parti fondamentali e quelle invece evitabili; magari ben riassunte su qualche compendio veduto sottobanco in copisteria.
Schemi colorati, mappe concettuali … e poi tanti stratagemmi appresi a partire dai banchi delle elementari fino ad arrivare a quelli del liceo: il tutto per ottenere il massimo con il minimo sforzo.
Bigliettini nell'astuccio, mani piene di formule, libri nascosti in bagno, compagni compiacenti che passavano la versione di greco o di latino in qualche foglio appallottolato.
In un modo o nell'altro Nina ce l'aveva sempre fatta: minimo sforzo, massima resa!
- Ambizione eh?, brava,ottima cosa! Ricordati che è solo grazie a quella che si possono ottenere grandi risultati. Tutti gli uomini potenti hanno quel che hanno grazie alla loro ambizione.
- Murdok, Berlusconi … loro si che hanno avuto fede nell' ambizione!-

Mia nonna mi aveva sempre messo in guardia dall'essere ambiziosa.
L'ambizione è del diavolo! Mi diceva quando ancora ero piccolina e guardavo i cartoni animati mentre facevo merenda. In genere quando in casa sua si usava il termine "ambizioso" era per indicare una poco di buono, una facile o meglio … "allegra".
Ma che c'è di male nell'esser allegri? È un peccato la serenità? Faticavo nel comprendere il motivo per cui una persona non potesse essere allegra.
Solo ultimamente capii che l'allegria che intendeva mia nonna era un'allegria agrodolce, stridula come le unghie passate sulla lavagna, vera come il sorriso di una statua di cera.

mercoledì 2 febbraio 2011

Entra e chiudi la porta

Chiamata da interno 2. 
- Vieni nel mio ufficio … -
Clem si alza, passa dal bagno per assicurarsi che il viso non lasci trasparire il terrore e il disgusto per quello che sarebbe toccato fare alle sue labbra di li a poco.
Tutto a posto. È bella come al solito: gli occhi riescono a mentire anche stavolta, il sorriso copre abilmente ogni timore, il passo verso la porta è quello di chi sa quello che vuole.
E Clem sa quello che vuole.
La porta si apre e lo trova alla scrivania, mollemente seduto davanti al suo Mac.
Camicia blu, la solita che tiene fuori dai jeans per coprire la pancia che sporge prepotentemente e non gli permette di avvicinarsi come vuole al tavolo.
- Avanti, avanti ... entra e chiudi la porta. A chiave. -
Silenzio.
- Sai che sei davvero sexy vestita così?
Clem lo lusinga con un sorriso di plastica. 
- Ti va di giocare? Dai fammi divertire ... oggi non ho voglia di lavorare.
Annuisce, timida.
- Cosa mi faresti eh? Me lo fai quello che hai fatto al tuo fidanzato in macchina? –
Gli aveva raccontato una serata di tanto tempo fa, passata a sbronzarsi in giro per locali con Leo, il suo  migliore amico e compagno di banco al liceo. 
L'amicizia quella sera si era inginocchiata davanti ai goffi slanci di una passione indebolita dal ruhm. Ricordi teneri che conservava nel cassettino segreto della sua memoria.
SI era ispirata a quel ricordo per tuffarsi insieme a lui in un racconto di sesso squallido e volgare. Come piaceva a lui perche' Clem ci sapeva fare, con le parole.

Clem sorride, vuole vincere questa sfida con il suo buon senso.
Vuole sputare in faccia a tutte le lezioni di morale che le hanno riempito il cervello durante l’infanzia.
Le avevano sempre fatto credere di essere una brava ragazza e lei ci aveva creduto.
Pensava ai pomeriggi passati all’oratorio sotto la custodia di suore-mastini che cercavano disperatamente di allontanare ogni pensiero impuro dalle menti di quelle che erano bambine sulla soglia dell’adolescenza.
Non si poteva giocare a Barbie, era peccato … avevano le tette e i capelli lunghi e biondi.
Il lucidalabbra era per le poco di buono … l'oratorio maschile zona off-limits… la Smemoranda proibita!

Pesava al modo col quale l’aveva allevata la nonna. 
Le sere passate col rosario in mano  a ripetete all’infinito quello che a lungo andare sembrava una filastrocca senza molto senso. 
Le storie dei santi e dei martiri morti in maniera orrenda in nome di un Dio che non si poteva vedere e toccare ma che ti assicurava il Paradiso, se lo avessi seguito.
Seguito? Ma dove?
Solo una cosa le piaceva e la faceva sentire al sicuro: la storia dell’angelo custode che vegliava su di lei  in ogni istante le dava coraggio e la faceva sentire al sicuro.
Pensare di essere protetta da una presenza invisibile – che nel suo immaginario era un bambino cicciotto e riccioluto avvolto da un alone turchino -  la faceva sentire diversa dagli altri, “magica” come l’Incantevole Creamy.

- Sono sicuro che sai fare anche i massaggi ... verresti a casa mia a farmene uno? -
L’espressione di lui aveva assunto una piega infantile e perversa nello stesso tempo.
La stava spogliando con gli occhi e lei era pronta a fare tutto quello che lui avrebbe chiesto pur di ottenere la spinta per entrare nel mondo che un anno fa era riuscita a sfiorare appena con un dito.
Lui era potente e lei lo sapeva.
Lui conosceva le persone giuste che l’avrebbero aiutata.
Lui non mentiva.
Era disgustoso nell’aspetto con tutti qui chili in più e quella testa pelata, ma il potere che aveva lo faceva sembrare agli occhi di Clem un’appetitosa gallina dalle uova d’oro.
-         Cosa vuoi che io faccia per te? - 
-         Vorrei lavorare in tv … vorrei che la gente mi riconosca per strada, vorrei fare la giornalista televisiva … anzi … prima magari mi piacerebbe scrivere un libro … chiedo troppo?-
Lui godeva nel sentirla sognare ad alta voce. Sembrava una bimba intenta a raccontare quello che aveva scritto sulla letterina per Babbo Natale.
-         Io posso fare tutto quello che vuoi. Mi basta poco, qualche telefonata giusta .... Non sto scherzando e tu lo sai .-
Per lui quello era un gioco da ragazzi: aveva amicizie nascoste ovunque, in ogni settore dell’editoria, della tv, del “bel mondo” e non si sarebbe lasciato scappare l’occasione di dimostrare per l’ennesima volta a qualcuno che “lui poteva”.
-         Allora me lo faresti un massaggio? Ma come mi vuoi? Guarda che pero' lo voglio fare nudo…-
Clem continuava ad annuire e ad alimentare le sue fantasie. 
Si auto convinceva che quello era solo un “lavoro”: in quel momento era chiamata a recitare in un film la parte più importante della sua vita … era il SUO FILM, la sua sceneggiatura e solo lei poteva far sembrare “normalità” ciò che nella realtà era “puro disgusto”.

Ogni volta che entrava nel suo ufficio Clem si calava nella sua parte. 
Aspettava ansiosa il “ciak” che scattava nel momento in cui la porta si chiudeva inesorabilmente alle sue spalle e poi prendeva posizione, china con la testa tra le sue gambe.

Era difficile tornare a concentrarsi sul lavoro una volta finite le “riprese”. 
Non si sentiva una zoccola … no, lei era una bravissima attrice.
Se solo la gente avesse saputo del sacrificio che stava facendo per raggiungere i suoi sogni …
Non la vedeva come una scorciatoia, affatto, la vedeva come un atto di fede nel suo ideale di successo: era disposta a calpestare la sua dignità, la sua integrità morale – sempre che ne avesse avuta una – la fiducia delle persone che le volevano bene pur di arrivare ad avere il suo posto sotto i riflettori.
Perché era quello il suo posto, lo sapeva fin da bambina, quando in prima elementare cantava le canzoni di Madonna tenendo un finto microfono in mano e ballando davanti allo specchio.
Quando all’asilo voleva a tutti costi avere la parte di protagonista nella recita d i Natale …
Quando l’anno prima l’avevano scelta per leggere le notizie flash in una piccola emittente locale.

La prima volta che i riflettori si erano accesi su di lei e aveva potuto vedere la sua immagine nello schermo sotto il gobbo, pensava di avercela fatta. Quello era il suo posto. Il primo passo verso il destino di personaggio pubblico.
Ma poi il destino era rapidamente cambiato … i suoi sogni abortiti da un giorno all’altro. 
Il palloncino che la teneva con i piedi staccati da terra si era sgonfiato con la fine del suo stage. Per lei si era aperta la porta di uscita, sul retro.